Principi per una comunicazione efficace

Principi per una comunicazione davvero efficace

Posted On 3 Ottobre 2022

Principi per una comunicazione davvero efficace

Nella società odierna risulta sempre più complicato instaurare un rapporto con partner, collaboratori, clienti, che sia basato su una comunicazione efficace.

Giustamente crederai, invece, che la tecnologia ci abbia fornito mezzi sempre più comodi e immediati per comunicare, ma non è proprio cosi.

La tecnologia, i social, il digital marketing, sono tutti fattori fondamentali che hanno migliorato e semplificato le nostre possibilità di trasmettere e condividere un messaggio, un informazione.

Per comunicare realmenteperò, tutto ciò non ci basta: necessitiamo dei seguenti principi.

Perché alcune idee restano ed altre passano inosservate?

Il titolo, letteralmente, significa “[idee] fatte per appiccicarsi“, ed è proprio questo l’oggetto dell’indagine dei due autori, i fratelli Dan e Chip Heath, accademici rispettivamente a Stanford e alla Duke University. Che partono da una semplice domanda: come mai alcune idee restano ben incollate nella mente dell’audience, e altre per nulla?

Il libro, pubblicato la prima volta nel 2007, è non a caso un best-seller assoluto, perché svela il segreto della “stickiness”, della appiccicosità.

Si, lo so, potrei tradurre “to stick” col più elegante termine attaccarsi anziché appiccicarsi, ma – non chiedetemi perché – fin da quando ho letto il libro, diversi anni fa, ho preferito questa immagine di… idea “appiccicosa”. Forse perché come immagine è più… sticky?!

Nell’edizione italiana, pubblicata contemporaneamente a quella americana, l’editore ha preferito rinunciare del tutto all’appiccicosità, che nell’edizione americana era invece ben evidente in copertina, con l’immagine di uno sticker.

Per l’edizione italiana si è invece preferito virare verso il concetto di forza, evidenziato dal titolo “Idee forti” e da una copertina che rappresenta una primitiva ruota in pietra intagliata con un altrettanto primitivo martello in pietra.

Tradendo così quel concetto di stickiness che è il vero protagonista dell’indagine dei due accademici…

Ma torniamo alla sostanza del libro. Gli autori si chiedono, dunque, per quale ragione alcune idee entrano e restano ben radicate nella mente di chi riceve il messaggio, mentre altre evaporano rapidamente. E scoprono così che un’idea ha più probabilità di entrare e permanere nella mente dell’audience se il messaggio con il quale la trasmettiamo soddisfa sei diversi principi.

Principi che non sono puramente teorici, ed infatti il libro – pur essendo stato scritto da due docenti universitari – è tutt’altro che accademico. Abbondano esempi, aneddoti, storie, per dimostrare la concretezza dell’indagine e delle conclusioni alle quali si giunge.

I sei principi sono poi raggruppato in un acronimo, facile da ricordare, appunto S.U.C.C.E.S.

Dove S.U.C.C.E.S. sta per… lo scopriremo presto!

Esaminiamo i sei principi, uno per uno. Iniziamo!

S come…

È fondamentale che nella comunicazione ci si orienti sul “core” dell’idea (in italiano, diremmo nucleo centrale).

Ma non è sufficiente. La semplicità implica anche compattezza nel messaggio. Gli autori rappresentano il concetto di semplicità con una vera e propria equazione: SIMPLE = CORE + COMPACT.

E come asseriscono gli autori (lascio volutamente in inglese):

“If you say three things, you don’t say anything”

Non è difficile rendersene conto. La comunicazione nel marketing ha da sempre fatto leva sulla semplicità. Troppo facile trovare esempi. Nike, Just do it.

Ma prendiamo ora un’idea di successo piuttosto sofisticata e articolata, ad esempio il potente messaggio di cambiamento di una delle campagne presidenziali americane maggiormente memorabili, quella che portò all’elezione di Barack Obama. La proposta di cambiamento era sintetizzata in messaggi semplici, il più noto dei quali era il celebre “Yes we can“.  Una lezione che negli anni successivi lo staff di Donald Trump ha dimostrato di aver ben appreso con l’altrettanto celebre “Make America Great Again“.

U come…

La noia, la totale prevedibilità, è un nemico pericolo per la comunicazione.

È importante che ci sia quell’elemento di sorpresa, non fine a sé stesso, che tenga viva l’attenzione, crei curiosità in modo naturale. L’elemento sorprendente che cattura l’audience.

Ovviamente senza esagerare. Per ottenere attenzione da parte dell’audience è del tutto sbagliato passare messaggi che creino shock, disturbo, paura, stato di confusione, perché allora scattano meccanismi naturale di difesa quali la fuga, la difesa, o l’aggressività. La mente di chi ci ascolta si ritrae dal messaggio, l’audience volta le spalle al comunicatore.

Nel caso già citato della campagna di Obama, fin dall’inizio la comunicazione elettorale aveva beneficiato dell’elemento inatteso, quello di vedere un giovane senatore, sostanzialmente sconosciuto fino al 2004, crescere nei sondaggi e nei consensi. L’idea poi di poter vedere alla Casa Bianca il primo Presidente di origine afroamericana aveva creato una tensione positiva, una crescente curiosità, aspettativa.

Molto simile, ma per ragioni diverse, la campagna di Donald Trump, giocata su questa inattesa candidatura di un personaggio ben noto agli americani, provocatorio e iconico, ma che nessuno aveva mai sino ad allora immaginato in versione “presidenziale”.

C come…

Un’idea che possa essere rappresentata con qualcosa di sensoriale, non astratto: ecco il terzo principio fondamentale della stickyness.

Le campagne di comunicazione sociali hanno ben assorbito questo messaggio. È più efficace, per spingervi a dare un contributo, dirvi che l’organizzazione Save the Children nel suo ultimo rapporto annuale “Emergenza fame” calcola che nel mondo muoiono ogni anno oltre 5 milioni di bambini e di questi drammatici decessi il 45% è dovuto a cause legate alla malnutrizione… o invece farvi vedere semplicemente immagini di bambini malnutriti in un preciso contesto che evoca immediatamente povertà e disperazione?

Quanto alle campagne di Obama e Trump, i due leader incarnavano idee, ideali e proposte politiche, che si concretizzavano nella voce, nell’esteriorità, nella gestualità, di due uomini che la TV e i social proponevano continuamente agli americani fino a farli diventare volti familiari.

C come…

Un messaggio di successo deve essere ancorato ad un elemento che dia credibilità. A volte bastano pochi accorgimenti, ma che possono fare la differenza: la pubblicità da sempre è maestra in questo.

Come quando un prodotto per l’igiene dentale è consigliato da 8 dentisti su 5. O come quando un prodotto alimentare viene presentato dalla celebrity chef di turno.

Nella campagna di Obama lo slogan “Yes we can”, questo senso di poter fare insieme cose prima impensabili, era reso credibile proprio dal vedere uno sconosciuto senatore dell’Illinois emergere dal nulla grazie ad un supporto collettivo coeso e fiducioso. Chi meglio di lui poteva rendere credibile, con la sua storia personale, un messaggio di speranza e possibilità?

Altrettanta credibilità l’aveva col suo elettorato Donald Trump, businessman di immensa popolarità, icona del successo nella New York degli anni 80, più volte dato per fallito ma poi sempre risorto: uno che se parla di grandezza (“…great again!”) e di ritorno alla grandezza, sa di cosa parla.

E come…

Un’idea che non sia capace di evocare emozioni è destinata a restare dimenticata. È inevitabile, è nella natura umana del nostro cervello.

Il nostro cervello è programmato per analizzare informazioni e prendere decisioni col minimo dispendio energetico. Se qualcosa non muove emozioni, non ottiene una prima reazione da parte del nostro cervello primordiale, istintivo, il cervello razionale non si attiva. Anzi, non ascolta nemmeno. Il cervello razionale è un cervello pigro, la porta d’ingresso al messaggio deve essere aperta dal cervello emotivo.

Tra tutti i sei principi del SUCCESS, questo è quello che richiede meno spiegazioni ed esempi.

E le campagne presidenziali americane, in particolare quelle di Obama e di Trump, hanno saputo in maniera eccellente sollecitare precise emozioni negli americani.

S come…

O se preferite come storytelling. Un’idea che sia supportata rappresentata da storie, da vicende, da aneddoti, è sempre molto più efficace.

Perché noi umani adoriamo la narrazione. La nostra mente resta intrappolata da sequenze di fatti che accadono intorno a dei personaggi reali o immaginari, sequenze che siano dense di significato, con protagonisti nei quali possiamo proiettarci, o proiettare le nostre ansie e paure.

Il framework del Viaggio dell’Eroe è così potente che penetra tutto: cinema, fiabe, letteratura… proprio perché affonda le sue radici negli archetipi. Ma penetra anche la vita reale: vi siete mai chiesti perché un personaggio come Steve Jobs sia stato trasfigurato in un vero e proprio mito dell’era moderna?

E la pubblicità televisiva lo sa bene, da sempre. Pensate a come gioca intelligentemente nel “narrare” prodotti, anziché presentarli in maniera piatta, statica.

E tornando alle campagne di Obama e Trump, quanto storytelling c’era dietro le idee che venivano presentate? Il giovane senatore dell’Illinois, la sua storia familiare complessa (“”It’s like a little mini-United Nations” dichiarava parlando della sua famiglia), la sua iniziale carriera come avvocato per i diritti civili…

E per Trump, la sua vita incredibile, il suo successo ma anche le sue cadute come immobiliarista, i suoi simboli come la celebre Trump Tower a New York o il programma televisivo “The Apprentice” con la famosa frase “You are fired”…

Dietro due Presidenti, una ricchezza di storytelling di grande presa sull’elettorato americano, una ricchezza che rendeva le loro idee e i loro messaggi davvero sticky.

I principi per una comunicazione efficace oggi, nell’era dei social

“Made to stick” non è arrivato nelle librerie ieri, ma 15 anni fa. Ricordate i continui riferimenti alla campagna di Barack Obama? Erano esemplificazioni che ho voluto io suggerirvi, nel libro il 44* Presidente americano non viene nemmeno citato: nel 2007 lo sconosciuto senatore dell’Illinois aveva solo annunciato la sua candidatura, e non era certamente in pole position rispetto alla

Un libro, insomma, tutt’altro che fresco di stampa, che – siamo onesti – è stato scritto in un’altra era. Quando i social non dominavano la comunicazione. Nel 2007 Facebook aveva appena 3 anni, Instagram doveva ancora nascere…

Eppure mi è piaciuto illustrarvelo, si pure in estrema sintesi, perché resta di una modernità assoluta. Il mondo è cambiato con lo sviluppo tecnologico e sociale, ma il cervello umano resta sempre quello dell’homo sapiens apparso sulla terra 75.000 anni fa, un cervello che si nutre di storie, che ha bisogno di semplicità per minimizzare lo sforzo cognitivo, che rifugge i concetti troppo astratti, che si apre davanti alle emozioni…

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